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Scorrere

Eva

Svezia

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Come accade spesso per i pazienti con malattie rare, Eva da bambina non ha avuto una diagnosi corretta, e per molte settimane ha ricevuto cure per una malattia diversa. Ha poi scoperto che la diagnosi ricevuta era errata, e che in realtà era affetta da una malattia cronica invalidante chiamata PKU.

“Il mio primo ricordo della PKU penso risalga alla scuola materna”, ricorda Eva. “Ricordo solo di aver notato che avevo un rapporto più stretto con la signora che si occupava dei pasti rispetto agli altri bambini – e ricordo di aver pensato ‘perché solo io’?”

Fin da piccola Eva ricorda la sensazione di essere diversa dai suoi coetanei, “Mi sentivo a disagio a tavola perché tutti mangiavano qualcosa mentre io mangiavo qualcos’altro dall’aspetto strano. A volte ricevevo commenti del tipo ‘cos’è quello? Sembra cacca’, dagli altri bambini”.

Tra i principali sintomi della fenilchetonuria non trattata vi sono danni cerebrali e difficoltà cognitive, che se non vengono affrontati possono accompagnare il soggetto fino all’età adulta. Per questo motivo può essere difficile per i pazienti distinguere tra i sintomi della malattia e la propria salute mentale generale.

“È dura perché non sai mai… ho avuto qualche difficoltà di concentrazione, soprattutto a scuola, e non saprò mai se è stato a causa della PKU o se sono semplicemente io a essere così”, afferma Eva.

Pur avendo accettato la propria diagnosi, Eva è preoccupata per il futuro, in particolare data la sua ambizione di viaggiare fuori Stoccolma; “la mia paura è non sapere cosa succederebbe se lasciassi Stoccolma. Dipende ovviamente da dove vado, ma dubito fortemente che riceverei lo stesso sostegno in un altro paese, o persino in un’altra regione della Svezia. Il fatto di non sapere cosa potrebbe succedere se mi spostassi anche solo di pochi chilometri mi fa sentire in trappola”.

La difficoltà di comprendere come gestire la PKU, in particolare negli anni turbolenti dell’adolescenza, accomuna la maggior parte dei pazienti con PKU – soprattutto considerando il divario tra l’assistenza pediatrica e quella in età adulta.

“Mi sembrava che più invecchiavo e meno attenzione ricevevo. Diventa sempre più confuso sapere cosa succederà dopo. Chi sarà il mio medico? Chi incontrerò? Chi sa delle mie analisi del sangue? È solo confusione in generale, credo.
Tra i 18 e i 20 anni, l’età che ho adesso, venivo ancora trattata come un paziente bambino anche se tecnicamente ero un’adulta e credo che questo dimostri che non c’è nessuno che mi accolga, mi sembrava di lasciare un medico, ma non c’era un nuovo medico che mi aiutasse”.

È su questa attuale lacuna nella transizione delle cure che Eva basa i suoi consigli per i futuri pazienti PKU, quelli che stanno attraversando il passaggio da bambino ad adulto, e la preparazione è il suo messaggio.

“Quando vi avvicinate agli anni dell’adolescenza – magari verso i 15, 16 anni – iniziate a prepararvi ai cambiamenti che vi aspettano. Chiedete ai vostri dottori chi sarà dopo a prendersi cura di voi e cosa succederà, affinché capiscano che per voi è importante e possiate continuare a ricevere assistenza. Io non ero preparata, non sapevo neppure che avrei cambiato dottori”.

Pur avendo una buona qualità di vita e sfruttando al massimo le sue opportunità, Eva è preoccupata per il futuro.

 “Gli anni passano e col tempo scopriremo cosa succederà, ma trattandosi di una malattia così rara capisco che non siano molte le persone interessate. Tuttavia, è ingiusto che solo perché ho una malattia rara io non debba ricevere aiuto e assistenza in misura uguale alle altre persone”.

“Penso che la sfida più grande sia forse accettare di avere la PKU, una malattia molto rara ma che comunque mi è capitata. È qualcosa a cui penso di tanto in tanto, tipo ‘quante saranno state le probabilità’? Ma sta di fatto che è successo”.

Job code: EU-PKU-00352 | Data di prep: Dicembre 2022