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“Anche senza una diagnosi ufficiale di PKU, era il mio corpo a mostrarmi i sintomi”, ricorda. “Ad esempio, quando mangiavo il gelato, il mio corpo lo rifiutava. Quando ho finito la scuola e mangiavo normalmente, ho avuto problemi comportamentali: ero triste e mi lamentavo spesso”.
I mesi passavano e Nicolò non migliorava, nonostante lui e sua madre avessero viaggiato attraverso l’Italia e consultato svariati esperti di genetica medica in cerca di risposte. In tutto questo tempo, Nicolò ha subito gravi deterioramenti muscolari e della parola, e alla fine non era più in grado di camminare o parlare, nonostante fosse in cura presso terapisti per la riabilitazione. È stato il suo terapeuta a raccomandargli un centro di medicina pediatrica specializzato in malattie rare a Firenze, che finalmente gli ha diagnosticato la PKU.
Il pericolo per i pazienti con diagnosi tardiva è che la PKU non sempre mostra i sintomi nell’immediato. Ciò significa che il bambino può continuare per anni ad assumere proteine dannose, prima che i sintomi si manifestino. A questo punto, il danno cerebrale può essere irreversibile.
Nonostante la diagnosi tardiva, Nicolò è stato fortunato.
“La mia esperienza è molto diversa da quella di altri pazienti diagnosticati tardivamente”, egli afferma. “Parlando con amici in diversi paesi europei, ho scoperto che vi sono pazienti con diagnosi tardiva che hanno avuto danni cerebrali e problemi di deambulazione permanenti. Sono stato fortunato ad avere dal mio corpo una risposta così rapida”.
Alla diagnosi, la madre e i nonni di Nicolò hanno reagito creando l’associazione di pazienti AMMEC, che mette in contatto i pazienti con PKU in Italia, Europa e persino Canada. Questo ha fatto sì che Nicolò potesse usufruire di una rete di sostegno ai pazienti, particolarmente utile per le persone che viaggiano.
Viaggiare per i pazienti con PKU è spesso difficoltoso, poiché all’estero possono esservi servizi di sostegno limitati e qualsiasi spostamento richiede una gigantesca preparazione, con pericolose conseguenze se qualcosa va storto, in particolare perché Nicolò tratta la sua PKU unicamente con la dieta: “Non posso dimenticarmi nulla, è dura”.
Lo studio è un altro ambito in cui Nicolò non ha permesso alla PKU di ostacolarlo.
Come studente all’Università di Siena, Nicolò sta studiando diritto europeo e spera un domani di poter sfruttare le sue conoscenze per generare un significativo cambiamento a livello legislativo per la comunità delle malattie rare.
“È interessante poter coniugare la mia passione per il diritto con la mia passione per i gruppi sociali. Ritengo sia necessario avere norme condivise per le persone affette da malattie genetiche”.
Tuttavia, nonostante la sua determinazione nel seguire la dieta per la PKU, Nicolò sa che la sua malattia influisce in qualche misura sui suoi studi – in particolare quando i suoi livelli di PHE sono troppo alti o bassi. “Quando i livelli sono perfetti, riesco a concentrarmi e portare facilmente a termine i miei compiti, ma quando i livelli sono bassi o alti trovo molto difficile concentrarmi”.
Nel complesso, comunque, Nicolò è consapevole che la PKU è parte di lui e sostiene che, con una corretta gestione e un buon sostegno da parte dei servizi sanitari, i pazienti con PKU possono vivere pienamente la propria vita.
È un aspetto della sua vita di cui parla volentieri.
Conoscendo così bene le difficoltà generate dalla PKU, Nicolò spera che in futuro vi sia una maggiore attenzione rivolta alle malattie genetiche rare in Europa e che sia assicurato a tutti un uguale accesso ai servizi di sostegno.
“Soltanto in Italia, abbiamo 20 regioni diverse con situazioni che variano da una regione all’altra. In molti paesi europei la situazione per i pazienti è difficile”.
Una parte fondamentale delle difficoltà vissute dai pazienti con PKU è la mancanza di collegamento tra i servizi pediatrici e quelli per l’età adulta. Poiché la PKU è diffusamente considerata come una malattia pediatrica, molti adolescenti si trovano ad affacciarsi all’età adulta senza alcuna idea di cosa succederà – proprio in un momento per loro cruciale.
“La PKU non è una malattia pediatrica. Il motivo per cui viene trattata come una malattia pediatrica è che le persone adulte con PKU non vengono in alcun modo considerate. Fanno un esame del sangue una volta l’anno, poi per il resto dell’anno sono da soli di fronte alla propria malattia”.
Nicolò pensa che gli adulti abbiano bisogno di più sostegno da parte dei servizi sociali e dei propri medici, con cui dovrebbero avere regolari contatti.
“Creando legami con i pazienti adulti e facendo in modo che possano vedere i propri medici più di una volta l’anno, si creano legami che fanno la differenza. È molto difficile gestire la PKU da soli”.
Job code: EU/PKU/0910 | Date of prep: June 2019